Mal di Terra!

IL MAL DI TERRA….. 

..  racconto di Paolo Marcari dopo una vacanza a vela in mare!

Sinceramente non so se la definizione è corretta ma io ho deciso di chiamarlo così.
E’ quella strana sensazione che ti sorprende dopo un giornata di navigazione, quando scendi a terra, e che ti dà l’impressione che tutto intorno a te rolli o beccheggi.
E’ una sensazione strana, stordente: di solito noi siamo percettivamente abituati a considerare la terra come “ferma”.
La letteratura di ogni genere ha reso celeberrimo il suo fratello maggiore (il mal di mare, appunto) ma personalmente credo che questo fratello disconosciuto, questo suo parente povero, sia in decisamente più affascinate perché più sorprendente.
Andar per mare a vela è un’esperienza meravigliosa: la prima cosa che ti colpisce quando le vele si dispiegano al vento ed inizia la navigazione è quello schiocco secco e deciso che dà il via a tutto, quasi un colpo di gong prima di una sessione di meditazione; un momento di rottura, il segnale di un inizio.
Poi, sorprendente, viene il silenzio.
Nella nostra esperienza quotidiana non siamo abituati ad associare il silenzio al movimento: ormai questo ci appare inscindibilmente legato e determinato da un rumore: dal rombo più o meno sordo di un motore a scoppio fino al lieve ticchettio dell’orologio.
Tanto è radicata la nostra convinzione che la mente, nel momento in cui la barca inizia a muoversi mossa solo dal vento, ha un quasi un breve momento di rifiuto: ti dice che quella che stai vivendo è un illusione: in realtà la nave è ferma ed è tutto il resto a muoversi; pur di non non mettere in discussione le sue certezze percettive giunge persino ad immaginare di vivere in un paradosso della fisica per cui il moto non è determinato dall’attraversamento di uno spazio ma da un fantascientifico annullamento dello stesso.
Come il tuo corpo istintivamente cerca di compensare il movimento della barca così la tua mente cerca di compensare questo stravolgimento delle sue certezze cognitive.
Poi la realtà, con la sua forza irresistibile, ti costringe a prendere atto che le cose stanno diversamente ed allora si spalanca alla consapevolezza un mondo nuovo e meraviglioso fatto di spazi immensi ed al tempo stesso ridottissimi, un mondo dominato da forze capricciose e potenti che possono essere “ingannate” per un po’ ma non piegate alla nostra egemone volontà moderna: andare a vela è un abbandonarsi controllato alla follia dei venti, alla forza del mare, è la continua ricerca del miglior compromesso possibile, è il saper sfruttare a proprio vantaggio tutto ciò che l’esperienza e la furbizia possono darti.
Anche il più piccolo furbesco, quasi furfantesco, “trucco” (il colore del mare, la velatura delle altre barche, il volo degli uccelli, la conformazione delle coste…) può fare la differenza.
In mare, la continua gestione di tutte queste variabili, il dover continuamente adattarsi alle condizioni del tempo, portano la mente a focalizzarsi solo sul momento presente diluendolo in un’infinita successione di non attimi privi di discontinuità.
Il dover prendere decisioni improvvise e fulminee fa si che tutto il resto diventi un qualcosa di vago e lontano, gli inutili e ricorsivi pensieri che pregnano il nostro quotidiano vengono frantumati dal moto ondoso, spazzati via dalla necessità della brezza, colorati da quel profondo blu indaco crestato di spuma bianca.
Finiscono per essere diluiti fino a concentrazioni omeopatiche nello spazio aperto, franco, che non nasconde nulla; se non ciò che non si è in grado o non si vuol vedere.
Un’esperienza incredibilmente “presente”.
Persino il linguaggio che si usa in questo mondo, fatto di termini del tutto alieni e misteriosi rispetto alla nostra quotidianità ma che segue sue precise logiche e motivazioni, ha il potere di portare la mente verso luoghi “altri” (non a caso il genio di Paolo Villaggio se è servito, nella famosa scena dello yacht, per evidenziare in maniera estrema il disagio di Fantozzi).
E’ veramente curioso come nella vita ordinaria, dove abbiamo l’illusione di aver tutto sotto controllo e dove tutto ci pare nella nostra disponibilità, la maggior parte noi vive ansie e paure per fatti che spesso nemmeno esistono mentre in mare, dove niente può essere sotto il tuo controllo, si possa sperimentare la gioia assoluta del verificare come una piccola giusta decisione dia immediati e gradevoli risultati.
E’ un qualcosa su cui molti, io per primo, dovremmo riflettere approfonditamente.
Non sorprende quindi che Ulisse l’astuto, il curioso, il cantastorie, che vinse una guerra decennale con un colpo di genio andasse a vela e fosse un grande navigatore.
I suoi compagni d’arme, che fondavano il raggiungimento di un traguardo sul dominio imposto con la forza bruta, sicuramente mancavano dell’agilità mentale sufficiente a gestire questo mondo in continuo movimento.
Uno come Achille, se fosse vissuto ai giorni nostri, sicuramente sarebbe stato un “motoscafaro” (come li chiamano loro) che arriva rombando la sua boria nel porto della moderna Ilio .
E sicuramente il suo volto doveva avere qualcosa in comune quello di quelle genti che hanno fatto di questo ambiente mutevole ed inconstante la loro casa: un espressione spesso accigliata (non per rabbia ma per difendere gli occhi dalla luce) che, insieme alla pelle cotta dal sole, genera quel buffo fenomeno per cui quando sorridono (ed avviene molto spesso, credetemi) gli compaiono sul volto una ragnatela di linee di pelle più chiara là dove il sole, nelle profondità delle pieghe, non è ben arrivato.
L’apparire e scomparire di queste linee di pelle più chiara crea sui loro volti un effetto “cromatico” della loro allegria che la rende percepibile anche con la vista (quasi fossero una specie di strano calamaro che, pare, comunica con i suoi simili attraverso dei modulati cromatismi cutanei).

vele spiegate

Poi, dopo tutto tutte queste nuove sensazioni e tutte queste scoperte, giunge la sera e si decide di prendere porto.
Il porto, luogo immaginifico di arrivo, di sicurezza dopo il pericolo; il luogo dove tornano ad esistere le nostre solite certezze, dove finalmente potremo riassaporare il gusto delle nostre comode sicurezze, il luogo da dove potremo nuovamente tornare ad avere il controllo su quello che avviene intorno a noi.
Tutto questo è evidente dalla composta frenesia con cui tutti eseguono le manovre di attracco: si percepisce nell’aria la voglia spasmodica del ritorno alla normalità della terra ferma ed ai soliti comfort (anche mentali).
Quindi esegui le manovre, attracchi, ti prepari, sbarchi assaporando quel momento in cui tornerai nel “tuo elemento” e, rapido e vigliacco come il colpo di sciabola del peggior pirata, eccolo: il mal di terra.
Tutto inizia a muoversi, a sbandare, un rollio ed un beccheggio vigliacco che si manifesta nei momenti più improvvisi.
Nel momento in cui sei certo che il tuo controllo sulla realtà torni ad essere fermo e saldo le tue percezioni son nuovamente stravolte, confuse, le certezza si sfaldano: la terra non sembra per nulla “ferma”.
La tua mente allora cerca di trovare una soluzione al paradosso: la terra NON può muoversi (non deve, maledetta lei !) ed allora tenti con mille trucchi di mettere le cose “in ordine”: ti concentri su un punto fisso, non funziona; guardi all’orizzonte; non funziona; cerchi l’incavo delle onde nelle scollature delle belle portuali, non funziona nemmeno quello (anche se è comunque un gran bel vedere).
Hai la nausea, quasi più che in mare, cerchi quasi affannosamente una soluzione che sfugge ad ogni tuo tentativo, il maledetto mal di terra non vuole mollare la sua presa.
Sbeffeggia le tue aspettative, mette in ridicolo le tue certezze.
Poi, improvvisamente, la risposta ti sale alla mente figlia dell’esperienza appena passata: basta “poggiare” alle tue certezze, alle tue manie di controllo.
Non cercare di dominarle ma gestirle, ingannarle per po’, truffarle come si fa con i figli di Eolo.
Perché in fondo la terra effettivamente si muove: su se stessa, assieme agli altri pianeti nel sistema solare, con il sistema solare nella galassia e nell’universo; quindi, in fondo, dov’è il problema, ?
Abbandonando questa nostra mania del controllo, questo nostra convinzione che alla nostra volontà ed alle nostre certezze tutto si debba conformare (e non il contrario) tutto torna ad essere (quasi) normale e sereno.
Questa è la lezione che ho imparato dal mal di terra, il resto sono solo pensieri che veleggiano vaghi nel vento e sulle onde al tramonto.
Paolo Marcari